Practices as an intersection in a Fragile Environment #2 trova la sua continuità a New York in un secondo atto che intende ripensare i ruoli dell’artista, del curatore e delle istituzioni partendo dalle pratiche stesse in un segmento di ricerca che le dispone in un territorio fragile e precario come quello che trova la sue coordinate di riferimento nel rapporto tra arte e spazio pubblico.
Non è più una novità per artisti, curatori e istituzioni guardare allo spazio pubblico come principale teatro della loro ricerca o azione, ma l'intenzione di partenza è quella di riconsiderare alcune dinamiche ben consolidate.
Una situazione di chiara ibridazione che si pone, come sostiene Boris Groys, al limite di quella zona grigia tra la politicizzazione dell'arte e l'estetizzazione della politica delineando una fragilità all'interno del mondo dell'arte per cui la sua azione estetica potrebbe neutralizzare o limitare l’effetto pratico e pragmatico a livello di un suo immediato impatto politico e sociale.
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Practices as an intersection in a Fragile Environment #2 finds its continuity in New York in a second act that aims to rethink the roles of the artist, the curator, and the institutions. This process starts from their practices and moves within a fragile and precarious space such as that of the relationship between art and public space.
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Practices as an intersection in a Fragile Environment #2 finds its continuity in New York in a second act that aims to rethink the roles of the artist, the curator, and the institutions. This process starts from their practices and moves within a fragile and precarious space such as that of the relationship between art and public space.
It is no longer a novelty for artists, curators and institutions to look at public space as the main stage for their research and actions but the ones that Zecchi is looking at are revisiting some well-consolidated dynamics.
Andrea Nacciarriti, Self portrait, Neon wood and bublewrap, 2010, Courtesy Franco Soffiantino, Turin |
Practices as an Intersection in a Fragile Environment_The Artist, Residency Unlimited, Marzo 2015 |
Practices as an Intersection in a Fragile Environment_The Artist, (Gabriela Albergaria, Claudio Zecchi, Andrea Nacciarriti), Residency Unlimited, Marzo 2015 |
L'artista
La prima delle tre panel discussion è dedicata al ruolo e alla responsabilità sociale dell’artista.
Le più recenti rassegne artistiche mondiali dimostrano l’urgenza con cui gli artisti sentono di doversi confrontare con la società; l’urgenza con cui sentono di non poter più tacere e tornare a raccontare senza filtri le dinamiche di un mondo in subbuglio. L’opera d’arte diventa così una bomba pronta ad esplodere in qualsiasi momento capace di disegnare uno spazio di conflitto e agonismo che spinge l’osservatore fuori dalla sua zona di sicurezza. In questo senso l’arte assolve ad ruolo sociale, ma ancora più interessante è capire come lo fa, come cioè riesca ad usare il dispositivo che il proprio linguaggio gli mette a disposizione lanciando, o rilanciando, interrogativi che partono innanzi tutto da un ripensamento del proprio ruolo.
Chi è, dunque, l’artista oggi? Come le opere d’arte raccontano un mondo in trasformazione?
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The artist
The first-panel discussion is dedicated to the role of the artist and to its social responsibility.
The most recent worldwide art shows demonstrate the urgency of the artists to confront with the society, not to be silent, and to restart revealing the dynamics of a struggling world with no filter. The artwork is, metaphorically, a bomb ready to explode and able to recreate a space for the confrontation that pushes the observer outside his or her comfort zone. The arts have a social role. It is of the greatest interest to understand how it does, that is how it is able to adoperate that device that its language provides, or how it makes questions that start, above all, from re-think its role.
Who is the artist today? How do artworks tell us about a steadily changing world?
INFO
Festival diep haven 2014, Ferry Dieppe- Newhaven, workshop Show me where you are going , Emma Shercliff |
Practices as an Intersection in a Fragile Environment_The Curator, (Todd Shalom, Ayelet Danielle Aldouby, Alice Mallet) ,Residency Unlimited, Aprile 2015 |
Practices as an Intersection in a Fragile Environment_The Curator, (Ayelet Danielle Aldouby, Alice Mallet, Alessandro Facente) ,Residency Unlimited, Aprile 2015 |
Il curatore
Il secondo capitolo del progetto si propone di investigare il ruolo del curatore e le pratiche curatoriali in seno a questo specifico ambito di ricerca.
Parlare di pratiche presuppone qualcosa che non sia definibile all’interno di confini stabiliti a priori ma significa, piuttosto, parlare di dinamiche che intendono alimentare partecipazione ed interesse e che si pongono su un piano di diffusione orizzontale capace di immaginare apertura e dibattito.
Il curatore si pone quindi il problema di come il lavoro passi per l’analisi delle istanze territoriali e sul confronto, in una linea di approccio orizzontale, con il pubblico. Oggigiorno, il pubblico è semplice spettatore o attore protagonista sullo stesso piano di artista e curatore? Se la maggior parte delle pratiche si sviluppa in seno ad una matrice di tipo laboratoriale (workshop, residenze etc.) intendendo aprire ad una riflessione su temi che riguardano la società nel senso più allargato del termine, allora il pubblico non può esserne tagliato fuori e trattato come semplice spettatore, un numero in più da aggiungere al successo o all’insuccesso di una determinata operazione.
Citando Olga Stefen: «se processi di tipo relazionale producono relazioni umane, che tipo di relazioni vengono prodotte, per chi e perché?»
Approcci di questo tipo portano con se il desiderio, utopistico e immaginifico, di uscire dai modelli di tessitura del reale familiare sforzandosi di ripensare, percepire ed esaminare gli stessi modelli ma con modalità differenti.
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The curator
The second act of this project aims to investigate the role of the curator and curatorial practices within this research field.
Talking of practices requires something with is barely definable within pre-established borders, but rather it means talking about dynamics that aim to originate participation and interest and that can be placed on a horizontal level to discuss openness and debate.
The curator questions how the artwork can be analyzed through territorial issues and confrontation, horizontally, with the public. Nowadays, is the public a simple spectator or is it the protagonist to be placed on the same level as the artist and the curator? If most of the artistic practices that develop within laboratories (workshops, residencies, etc.) aim to open up a debate on themes concerning society, then the public can’t be put apart and treated as a mere observer, or as a simple number to be added to the success or failure of a single operation.
Quoting Olga Stefen: “if relational-type processes produce human relations, what kind of relations are produced, who for and why?.”
Such an approach brings up the wish, both utopic and imaginative, to quit those daily interpretational models of interpreting, and dare to rethink, perceive and examine the same very models but through different modalities.
INFO
Jacynthe Carrière, RU artist, in discussion with other residents |
Practices as an Intersection in a Fragile Environment_The Institutions, (Sebastian Sanz de Santamaria, Joy Glidden, Angelo Bellobono, Marco Antonini) ,Residency Unlimited, Maggio 2015 |
Practices as an Intersection in a Fragile Environment_The Institutions, (Sebastian Sanz de Santamaria, Joy Glidden, Angelo Bellobono, Marco Antonini) ,Residency Unlimited, Maggio 2015 |
Le Istituzioni
Il terzo e ultimo capito di questo progetto s’interroga sul ruolo delle Istituzioni.
L’arte post-disciplinare o interdisciplinare ha avuto conseguenze di ampio raggio che hanno investito non solo le pratiche artistiche e curatoriali in senso stretto ma anche quelle istituzionali. Seguendo il terreno tracciato dagli artisti, le istituzioni, possono infatti aprire una piattaforma pubblica di virtuoso scambio intellettuale lavorando al fianco di Accademie e Università dando vita ad un rapporto proficuo di produzione del sapere piuttosto che di riproduzione come spesso accade all’interno di meccanismi logori e conservatori. In questo modo anche gli spazi fisici in cui le istituzioni di varia natura sono solite trincerarsi e confinarsi si dissolvono in favore di spazi più ampi e collaborativi in cui s’intessono rapporti di tipo orizzontale anziché verticale. Questo percorso ha come conseguenza, anche nel caso delle istituzioni, l’immaginazione, il riconoscimento e la formazione di un pubblico più ampio. Immaginare un pubblico significa infatti intessere con il territorio in cui si agisce un rapporto di feconda reciprocità, un rapporto che è spesso la ragione, a parti inverse, del riconoscimento dell’istituzione da parte del pubblico stesso, soprattutto nei casi in cui non si tratta di istituzioni riconosciute da un protocollo politico ufficiale ma di istituzioni che si muovono nell’ambito del non-profit.
In questo senso tra arte, architettura e istituzione si genera un rapporto vicendevole in cui spesso accade che non sia solo il pubblico a riconoscere un luogo, uno spazio, conferendogli una dimensione pubblica, istituente (le istituzioni sono un insieme di norme, regole, comportamenti, valori ecc.), ma che molto spesso siano anche le istituzioni stesse ad auto-riconoscersi come tali attraverso un processo di auto-istituzionalizzazione.
Un atto con il quale si sancisce a priori l’intenzione di lavorare in una dimensione più ampia e non autoreferenziale.
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The Institutions
The third and last act of this project questions the role of institutions.
Post-disciplinary or interdisciplinary art has had a broad impact that included not only artistic and curatorial practices but also institutional ones. Following that path that has been created by the artists, institutions might be able to originate a public platform for intellectual exchange, when operating next to academies and universities, and giving birth to a productive relationship for the production of knowledge, rather than for its reproduction as often happens within such conservative mechanisms.
Doing this, those physical spaces within institutions that use to withdraw and entrench themselves will vanish in favor of broader and more collaborative spaces where horizontal, rather that vertical, relationships can be created.
Even in the case of institutions, such a process will originate the acknowledgment and the education of a broader public. Imagining a public means engaging with the territory where the action takes place a mutually productive relationship. A relationship which is often the reason that, vice-versa, push the public to recognize a place as an Institution, particularly in the case of those Institutions that haven’t already been recognized by an official public protocol.
Giving this as a frame, architecture and institutions start a fruitful dialogue where often happens that is not necessarily the public that gives to a specific place an institutional function (the institutions are a set of norms, rules, behaviors, values, etc.) but is rather the Institution to proceed towards a self-institutionalization. A sort of statement which establishes since the very beginning the intention to work in a wider, not self-referential, dimension.
INFO