Stabilito questo rapporto, il progetto s’interroga su come le pratiche partecipative possano generare piattaforme di condivisione in cui lo spazio diventa una condizione soggettiva, flessibile e continuamente rinegoziabile attraverso il rapporto di reciproco riconoscimento con gli altri che tali piattaforme generano. Il linguaggio dell’arte, nella sua dimensione discorsiva, diventa quindi uno strumento di conoscenza (Foucault) e spostamento verso un pubblico che rinuncia alla sua posizione passiva di mero osservatore per riconoscerne una attiva.
È un dato di fatto, infatti, che i confini dell’arte si sono progressivamente allargati in uno spazio plurale e trasversale in cui, attraverso altre discipline, l’arte interroga se stessa e il dominio del sociale (Guattari). Ancor di più lo è per quelle pratiche che guardano allo spazio pubblico come luogo di indagine privilegiato. Lo spazio pubblico è infatti per sua stessa natura uno spazio frammentato (Sheikh), uno spazio di soggettività diverse, un’arena, un campo di battaglia (Bourdieu; Haake).
In questo quadro di sconfinamento, l’arte cerca con il suo linguaggio di dare una risposta all’impotenza, alla precarietà e alla solitudine (Berardi “Bifo) prodotti dal moderno sistema neo-liberale. Se dunque il capitalismo produce soggetti passivi con poca capacità di agire e poco emancipati, l’arte, attraverso pratiche orizzontali e strategie di partecipazione, tenta invece di attivare processi di ri-umanizzazione. La partecipazione sta diventando, in un contesto di pratiche che guardano e si interfacciano con la realtà, sempre più importante come progetto (Debord) e il corpo torna quindi a giocare un ruolo centrale sia rispetto all’attivazione delle pratiche artistiche, che in seno a contesti più strettamente sociali.
L’antropologo italiano Franco La Cecla (Contro l’urbanistica) parla infatti di una ripresa politica del rapporto tra corpi urbani e spazi urbani che si fa nell’esperienza diretta. Allo stesso modo le pratiche di partecipazione tentano di ripristinare e realizzare uno spazio collettivo, condiviso, interrogandosi sui sistemi esistenti e cercando di scardinare condizioni prestabilite attraverso nuovi linguaggi e strategie di intromissione nello spazio pubblico[1]. Strategie che prevedono, o aspirano, ad una crescita della coscienza attraverso il pensiero critico o, come detto, un coinvolgimento fisico più diretto all’interno di un’azione simbolica. In questo senso, bisogna essere onesti verso lo spettatore che diventa allo stesso tempo produttore (a volte) e performer.
Vivendo dunque al limite della contraddizione tra una partecipazione intellettuale, quella dell’artista o del curatore, tesa ad una proiezione nella situazione, e i cittadini stessi, che giornalmente si confrontano con i problemi della vita reale, bisogna riconoscere la presenza di una discrepanza tra chi produce progetti, seppure con intenzioni autentiche alla base, e chi vi partecipa. L’approccio artistico o curatoriale non può quindi che essere rappresentativo di uno stato di cose e deve, fin dall’inizio chiarire gli obiettivi. Sta poi a chi partecipa capire come percorrere e affrontare il cammino, come e quanto mettersi in gioco.
Queste pratiche o strategie vanno infatti verificate e ri-negoziate di volta in volta all’interno di contesti specifici.
L’orizzontalità non è mai, infatti, il fine, resta piuttosto un’intenzione, uno strumento capace di stimolare continui interrogativi su come un altro modi di organizzare sia possibile inventando nuove istituzioni del comune (Lorey).
Il lavoro dei quattro artisti coinvolti innescano tutti scenari atti a creare spazi di partecipazione critica o fisica costruendo ambienti transitori, flessibili e in continua evoluzione al limite del rapporto tra utopia e distopia quasi una sorta di pre e post (Tetsuro Kano); piattaforme di partecipazione diretta che trovano nel disastro di Fukushima (marzo 2011) un punto di svolta (Tsubasa Kato); o che incitano attraverso un linguaggio neo-dada ad un cambiamento sociale molto forte interrogandosi su quali risposte possa generare l’arte (Chim↑Pom); o luoghi fortemente simbolici capaci di determinare dispositivi simbolici o generare azioni che si interrogano sulla relazione e i confini tra corpo e spazio generando processi di partecipazione critica (Ishu Han).
Se Fukushima rappresenta dunque una sorta di shock, la prima esperienza diretta di una generazione cresciuta in un clima di sostanziale pace post Seconda Guerra Mondiale, che tipo di conseguenze ha avuto sulla collettività? Come ha influito sulla ridefinizione di nozione di altro e di spazio pubblico come spazio dell’azione che sta tra le cose nella sua dimensione reale e nella sua estensione virtuale (rete)? È la rete un nuovo, potenziale, spazio pubblico? Che tipo di processi ha innescato dal punto di vista delle pratiche artistiche e curatoriali?
Se Fukushima rappresenta dunque una sorta di shock, la prima esperienza diretta di una generazione cresciuta in un clima di sostanziale pace post Seconda Guerra Mondiale, che tipo di conseguenze ha avuto sulla collettività? Come ha influito sulla ridefinizione di nozione di altro e di spazio pubblico come spazio dell’azione che sta tra le cose nella sua dimensione reale e nella sua estensione virtuale (rete)? È la rete un nuovo, potenziale, spazio pubblico? Che tipo di processi ha innescato dal punto di vista delle pratiche artistiche e curatoriali?
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SupeReality, SuperMa, aims to understand how, and to what extent, the Fukushima March 2011 disaster has affected the artists' practices by generating strategies that, in different ways, can be understood as participatory. On the theoretical level the project seeks to investigate how, starting from the analysis of the concept of real and the potential space that this integrates (what is going to be; the space in between things) and therefore the space of the action, it would eventually possible cross the notion of public space claimed by Hanna Arendt. Paved by Arendt’s definition of the public as at the same time the space of the action and the speech, this research tries to intercept the concept of MA - space and time that stands in between things according to the definition by architect Akira Isozaki - a fundamental principle of the Japanese culture.
Once this relationship has been established, the project wonders how participatory practices can generate sharing platforms where the space (in between) becomes a subjective, flexible and continually renegotiable condition through relationships of mutual recognition with those that generate such platforms. The language of art, in its discursive dimension, becomes indeed a tool in the field of knowledge (Foucault) that moves towards a new type of audience. An audience that renounces to its passive position in order to switch in an active one.It is indeed a fact that the boundaries of art have progressively broadened into a plural and transversal space in which, through other disciplines, art questions itself and the realm of the Social (Guattari). Even more for those practices that look to the public space as a place of privileged investigation. The public space is in fact by its very nature a fragmented space (Sheikh), a space of different subjectivities, an arena, a battleground (Bordieu/Hacke).
In this context of trespassing, art seeks with its language to give an answer to the impotence, precariousness, and loneliness (Berardi "Bifo") produced by the modern neo-liberal system. If therefore, capitalism produces passive subjects with little capacity to act and not emancipated, the art, through horizontal practices and strategies of participation, tries instead to activate processes of re-humanization. Participation is becoming, in a context of practices that look and intermingle with reality, more and more important as a project (Debord) and the body then returns to play a key role both in relation to the activation of artistic practices and in a more strictly social context.
The Italian anthropologist Franco La Cecla (Contro l'urbanistica) claims, in fact, a political upswing of the relationship between urban bodies and urban spaces that can only be done through a direct experience. In the same way, the practices of participation attempt to restore and realize a collective/shared space, by questioning the existing systems and trying to undermine predetermined conditions through new languages and strategies of interference in the public space. Strategies that foresee, or aspire to, a growth of consciousness through critical thinking or, as mentioned before, a more direct physical involvement in a symbolic action. In this sense, it is crucial, to be honest towards the spectator who becomes at the same time producer (sometimes) and performer.
Living thus at the cusp of the contradiction between an intellectual participation, that of the artist or the curator, aimed at a projection in the situation, and the citizens themselves, who daily confront the problems of real life, one must recognize the presence of a discrepancy between those who produce projects, albeit with genuine intentions at the base, and who participates. The artistic or curatorial approach cannot, therefore, be representative of a state of facts and must, from the very beginning, clarify the objectives. It is then who participates to understand how and if being involved in the path.
These practices or strategies must, in fact, be verified and re-negotiated every time within specific contexts.
Horizontality is never, in fact, the aim, it remains rather an intention, a tool able to continuously question about how another way of organizing would be possible by inventing new institutions of the commune (Lorey).
The works by the four artists involved trigger scenarios that create spaces for critical or physical participation building transient, flexible (ongoing) environments at the limit of the relationship between Utopia and Dystopia almost a sort of pre and post (Tetsuro Kano); platforms of direct participation that found in the Fukushima disaster (March 2011) a turning point (Tsubasa Kato); or platforms that incite through a neo-dada language to a very strong social change by questioning which answers could be created by the art (Chim ↑ Pom); or, finally, strongly symbolic places capable of determining symbolic devices or generating actions that question themselves about the relationship and the borders between body and space, nurturing processes of critical participation (Ishu Han).
If Fukushima, therefore, represents a kind of shock, the first direct experience of a generation grown in an atmosphere of substantial post Second World War peace, what kind of consequences does this have on the collectivity? How could this affect a potential redefinition of the notions of “others” and public space as the space of action that lies in between things both in its real and virtual extension (the net)? Is the net a new, potential, public space? What kind of processes has triggered from the point of view of artistic and curatorial practices?
If Fukushima, therefore, represents a kind of shock, the first direct experience of a generation grown in an atmosphere of substantial post Second World War peace, what kind of consequences does this have on the collectivity? How could this affect a potential redefinition of the notions of “others” and public space as the space of action that lies in between things both in its real and virtual extension (the net)? Is the net a new, potential, public space? What kind of processes has triggered from the point of view of artistic and curatorial practices?
[1] «[…] Questo è perché, come ripeto sempre, con tutta la mia simpatia per il movimento Occupy Wall Street, il suo risultato è stato…io lo chiamo la lezione di Bartleby. Si certo Bartleby, il Bartleby di Herman Melville, che rispondeva sempre “Avrei preferenza di no”[1]…Il messaggio di Occupy Wall Street è, preferirei non giocare a questo gioco, quello presente. C’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato con il sistema, e le forme esistenti di democrazia istituzionalizzata, non sono sufficientemente forti per affrontare i problemi. Oltre questo, essi non hanno una risposta così come me. Per me, Occupy Wall Street è solo un segnale. È come sgombrare il tavolo. Il tempo di iniziare a pensare […]».
«[…] This is why, as I always repeat, with all my sympathy for Occupy Wall Street movement, it’s result was…I call it a Bartleby lesson. Bartleby, of course, Herman Melville’s Bartleby, you know, who always answered his favorite “I would prefer not to”…The message of Occupy Wall Street is, I would prefer not to play the existing game. There is something fundamentally wrong with the system and the existing forms of institutionalized democracy are not strong enough to deal with problems. Beyond this, they don't have an answer and neither do I. For me, Occupy Wall Street is just a signal. It’s like clearing the table. Time to start thinking[…]».
Slavoj Žižek: Don't Act. Just Think.
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Questo di Tokyo, che va sotto il titolo di Supereality, SuperMa, è un capitolo parziale - altri artisti oltre ai quattro coinvolti qui, il cui lavoro si concentra su questo tema, e che al momento vivono non vivono in Giappone, saranno approfonditi successivamente - che sarà finalizzato con la presentazione di quattro lavori.
Questo di Tokyo, che va sotto il titolo di Supereality, SuperMa, è un capitolo parziale - altri artisti oltre ai quattro coinvolti qui, il cui lavoro si concentra su questo tema, e che al momento vivono non vivono in Giappone, saranno approfonditi successivamente - che sarà finalizzato con la presentazione di quattro lavori.
Questi lavori vanno principalmente intesi come possibili chiavi d'accesso ad un tema così ampio come quello della partecipazione.
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This of Tokyo, that goes under the title Supereality, SuperMa, is thus a partial chapter – other artists apart from the four involved here, which work investigates this field in different extent, live now abroad but will be scrutinized afterward – that has been finalized with the presentation of four works.
These works are mainly intended to be possible key access to such as broaden topic as the participation.INFO
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Tetsuro KANO
Il lavoro di Kano rappresenta, nell’ottica di accesso parziale al tema affrontato, una condizione di partenza e chiusura allo stesso tempo capace di determinare una sorta di percorso circolare.
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Il lavoro di Kato si rivolge in maniera diretta alla realtà circostante attraverso un processo di ridefinizione e conoscenza del sé all’interno del quale il disastro di Fukushima (sia fisico che psicologico) risulta essere un vero e proprio punto di svolta.
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INFO
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東京でのプロジェクトは「脆弱な環境の交差地点としての実践」というタイトルで行われているリサーチ・プロジェクトの第5章に当たる。このプロジェクトは文化的ノマディズムにおけるアートと公共圏の関係を模索することを目的としている。
文化的ノマドという状況のアートと公共圏の関係に焦点を当てるクラウディオ・ゼッキは、ある都市のアーティストや機関、コミュニティとの何ヶ月にもわたる対話の集積をもとにした長期的なリサーチを行っている。アートと公共圏の脆弱な関係とその遺産を探究し、これまで「アクテヴィズム」(Fabbrica del Vapore、ミラノ)、「現代社会におけるアーティスト、キュレーター、機関の役割」(Residency Unlimited、ニューヨーク)、「言語」(New Art Exchange、ノッティンガム)、「建築と都市学」(PIVȎ Pesquisa, サンパウロ、ブラジル)、 そしてTOKASでは「参加(participation)」をテーマにリサーチを実施している。会話を通して得られる成果は常に異なるものになる。
東京でのリサーチはひとつの章の一部を成し、4つの作品のプレゼンテーションで完成する。今回参加している4人以外で、現在国外に住みながらこの分野に関する作品を制作しているアーティストについては今後綿密にリサーチすることとなる。これらの作品が「参加」のような広いテーマにアクセスする鍵となるだろう。
アートは、様々な分野をとおしてアートそのもの、また社会の領域を問う複数かつ横断的な場にその境界を押し広げているのは事実である。
これは公共空間を特権的に調査の場とする活動においてはよりいっそうあてはまることである。実際に公共空間はその性質上、断片化された場であり、様々な主観、舞台、そして戦場を含む空間である。
こういった文脈での侵入に関して、アートは近代の新自由主義の構造によってもたらされた無気力、不確定性、そして孤独への答えをアートの言語によって模索している。もしも資本主義が行動を制約し、自由を欠く受身の課題を生み出しているならば、アートは横割りの活動と参加という方法をとおして、人間関係を再構築する活発なプロセスとなるだろう。
「参加」は現実を見つめて混ざり合うという意味で、プロジェクトとしてますます重要になりつつあり、身体はより厳密な社会という文脈の中で再びアートの実践を活性化させる鍵となる役割を担っている。
イタリアの人類学者Franco La Cecla はContro l'urbanisticaで、直接的な経験を通してのみなされる都市における身体と空間のつながりが政治的に増加していると述べている。同様に、参加の実践は、新しい言語や公共空間への干渉をとおして、既存のシステムに疑問を投げかけ、既定の条件を弱体化させることで、共同・共有空間の復元・実現を試みるものである。批判的思考をとおして意識の成長を促したり、あるいは前述したとおり、象徴的な行為における、より直接的な身体的関与を予想し目指す策略である。この意味では、プロデューサーにも時にはパフォーマーにもなりうる観客に対して正直な姿勢でいることは重要である。
このような状況を映し出すことを目的とするアーティストやキュレーターといった知識層の参加者と、日常的に日々の問題に直面している市民の間には両立しないものがある。そのプロジェクトが真摯に意図されたものであるとはいえ、プロジェクトを制作する者と参加する者の間に矛盾があることを認めなくてはならない。つまりアーティストやキュレーターのアプローチが現実の状況を代弁するものではなく、はじめに目的をはっきりとさせることが重要なのである。どのような形で関与するか、あるいはしないかはまさに参加者次第である。
これらの実践と策略は実際、特定の文脈において実証、また再検討されなければならない。
実際に、横割りの繋がりは決して目的ではなく、それはむしろ共同体の新しい組織を作ることによって、他にどのような体系が可能かを問い続けるツールとして意図されるものである。
参加した4人のアーティスト(その他の海外在住アーティスト)による作品は、批判的あるいは身体的な参加をするための空間作りのシナリオを生み出した。それは、ユートピアとデストピアの、ある種表裏の関係性の極限において、はかなく流動的な環境を形成するもの(狩野哲郎)、転機となった福島における災害時に作られた直接的な参加型プラットフォーム(加藤翼)、また、ネオダダ的言語を通し、アートによって解答を得られるものは何かを問い、大きな社会的変化を引き起こすプラットフォーム(Chim ↑ Pom)、そして象徴的な道具や手段と直結し、身体と空間の関係性やその境界に対して疑問を投げかけ、批判的な参加を生み出す、強い象徴性を持つ場(潘逸舟)などである。
http://www.tokyoartsandspace.jp/publication/docs/tokas_annual_2017.pdf |
Supereality, SuperMa, TOKAS_Tokyo Arts and Space, Installation view with works by: Ishu Han, Tsubasa Kato, Tetsuro Kano, Chim↑Pom |
Supereality, SuperMa, TOKAS_Tokyo Arts and Space, Installation view with works by: Tsubasa Kato, Chim↑Pom, Ishu Han, Tetsuro Kano |
Supereality, SuperMa, TOKAS_Tokyo Arts and Space, particular of the works by: Tetsuro KANO and Ishu HAN, Courtesy The Artists |
Supereality, SuperMa, TOKAS_Tokyo Arts and Space, work by: Ishu HAN, Courtesy The Artist |
Supereality, SuperMa, TOKAS_Tokyo Arts and Space, work by: Tsubasa KATO, Courtesy The Artist and MUJIN-TO Production |
Supereality, SuperMa, TOKAS_Tokyo Arts and Space, work by: Chim↑Pom, Courtesy The Artists and MUJIN-TO Production
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Tetsuro KANO
Il lavoro di Kano rappresenta, nell’ottica di accesso parziale al tema affrontato, una condizione di partenza e chiusura allo stesso tempo capace di determinare una sorta di percorso circolare.
Le sue installazioni site-specific disegnano ambienti in cui naturale e artificiale convivono. Si tratta di ambienti costruiti senza predeterminazione in cui ogni tipo di disposizione gerarchica viene annullata in favore dinamiche transitorie e flessibili. Qui la partecipazione va continuamente rimessa in gioco e negoziata al di là della volontà dell’artista.
Gli oggetti che danno forma agli ambienti che Kano costruisce, sono solitamente – come già spiegato – il risultato della combinazione tra oggetti naturali e artificiali uniti da una rete di relazioni molto sottili e intangibili nonché da un insieme di fattori estetici. Essi non hanno e non producono alcuna funzione di efficienza reale ma determinano piuttosto condizioni di spazialità e temporalità non immediate alimentando una tensione di costante conflitto dialettico tra forza e fragilità a beneficio di quest’ultima.
Costruiti affinché possano viverci temporaneamente degli uccelli, togliendo così agli essere umani qualsiasi tipo di controllo, questi ambienti tendono infatti a generare dubbi e sospetti sulla prospettiva e gli standard umani allargando non solo lo spettro del rapporto dialettico tra le parti in causa, ma assottigliando anche il limite tra utopia e distopia fin quasi a farlo scomparire.
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Kano's work represents, within the trajectory of the partial access to the subject, a condition of departure and closure at the same time capable of determining a sort of circular path.
Its site-specific installations design environments in which natural and artificial coexist. These are environments built without predetermination in which each type of hierarchical disposition is canceled in favor of transient and flexible dynamics. Here the participation is constantly put into play and negotiated beyond the will of the artist.
The whole spectrum of objects that shape the environments that Kano builds are usually – as already explained – the result of the combination of natural and artificial objects united by a network of very subtle and intangible relationships and a set of Aesthetic factors. They do not have and do not produce any function of real efficiency but they determine rather conditions of not immediate spatiality and temporality feeding a tension of constant dialectical conflict between strength and fragility for the benefit of the latter.
Built so that they can temporarily host birds, thus removing human beings from any kind of control, these environments tend to generate doubts and suspicions about perspective and human standards by widening not only the spectrum of Dialectic relationship between the parts involved, but also thinning the boundary between utopia and dystopia until almost make it disappear.
INFO
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Tsubasa KATO
Break it Before it's Broken, documentation video of an action, a wooden structure, ropes, 315 x 165 x 270 cm 2015
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The Lighthouses - 11.3 PROJECT Photograph 2011
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Il lavoro di Kato si rivolge in maniera diretta alla realtà circostante attraverso un processo di ridefinizione e conoscenza del sé all’interno del quale il disastro di Fukushima (sia fisico che psicologico) risulta essere un vero e proprio punto di svolta.
Se infatti prima del Marzo del 2011 Kato aveva già cominciato a costruire grandi sculture pubbliche che innescavano processi di partecipazione diretta con lo scopo di indagare il confine tra pubblico e privato, dopo il 2011 (H.H.H.A Home, Hotels, Hideyoshi, Away) questi cominciano ad assumere una tensione che non si esaurisce nella costruzione di un’opera generando piuttosto piattaforme di scambio tese a determinare empatia e solidarietà.
La partecipazione si traduce quindi in un progetto in cui il corpo torna ad assumere un ruolo centrale prima, durante e dopo la costruzione dell’opera in sé.
Piattaforme orizzontali, dunque, di intromissione nello spazio pubblico attraverso una continua negoziazione del linguaggio in cui lo spettatore diventa allo stesso tempo produttore e performer.
Piattaforme aperte e imprevedibili in cui tutto può accadere sulla base delle relazioni, semplici e spontanee, che si instaurano in quel momento preciso – e solo in quel momento – tra le persone che partecipano e sulla base dell’inclusione delle linee dettate dalla narrativa locale come la chiama l’artista stesso.
Un’apertura che diventa condizione capace di generare una contaminazione che va oltre il progetto stesso garantendogli una potenziale vita successiva.
I progetti post Marzo 2011, conosciuti sotto il macro titolo di Pull and Rise, indicano inoltre una maggiore presa di coscienza da parte dell’artista non solo sul suo ruolo ma anche, più in generale, su quello dell’arte come potenziale attivatrice di processi di ri-umanizzazione.
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Kato's work is aimed directly at the surrounding reality through a process of redefinition and knowledge of the self within which the Fukushima disaster (both physical and psychological) turns out to be a real turning point.
If in fact before March of 2011 Kato had already begun to build large public sculptures that triggered processes of direct participation with the aim of investigating the border between public and private, after 2011 (H.H.H.A Home, Hotels, Hideyoshi, Away) these have started to assume a tension that does not end in the construction of an artwork generating rather platforms of exchange aimed at determining empathy and solidarity.
The participation, therefore, turned into a project in which the body returns to assume a key role before, during and after the construction of the work itself.
Horizontal platforms, indeed, of interference in public space through a continuous negotiation of the language in which the spectator becomes at the same time producer and performer.
Open and unpredictable platforms in which everything can happen on the basis of simple and spontaneous relations, which start to be established at the moment when the process is triggered among the people who participate. Relationships that also include the lines indicated by the local narrative, as the artist himself claims.
An openness that becomes a condition capable of generating a contamination that goes even beyond the project itself guaranteeing a potential life afterward.
The projects post-March 2011, known under the macro title of Pull and Rise, also indicate a greater awareness by the artist on his role and, more generally, on that of art as a potential activator of processes of re-humanization.
INFO
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Ishu HAN
Ishu HAN, Great round table -The weight between you and me, 2015, Bowls, Chopsticks, Scales, 2015, Courtesy Urano Gallery |
A dream about stopping the weaves, performance, frame da video 16'15'', 2017Courtesy The artist and Urano gallery Tokyo |
Il lavoro di Han s’interroga sulla relazione tra individui ed entità collettive come società e nazione utilizzando oggetti della quotidianità o il proprio corpo come parametri di riferimento.
Che relazione s’instaura tra un oggetto o il corpo e un luogo specifico? Qual è il concetto di altro? dove nascono le differenze? Sono alcune delle domande che l’artista riesce ad alimentare in un lavoro come The Great Ground Table (2015) dove il cerchio di bilance tarate in maniera differente sorreggono alla stessa altezza delle scodelle di peso diverso collegate tra loro attraverso le classiche bacchette che si usano per magiare. In questo sistema circolare – il tipico tavolo in Asia è circolare – che scavalca ogni gerarchia, o in cui ogni gerarchia è messa in discussione; in cui non esiste un inizio e una fine, non è possibile o per lo meno non è semplice capire chi sorregge chi. In questa dinamica chiunque può essere l’altro.
Da un punto di vista estetico formale, i lavori di Han fanno riferimento ad un vocabolario minimale teso a ridurre tutte le informazioni, già presenti negli oggetti o nei dispositivi utilizzati, al minimo.
È il caso di Musical cheirs (2015), un’installazione video in bianco e nero in cui il messaggio politico relativo alla disputa dell’isola di Tshumisa tra Giappone e Korea, è affidato da un lato all’ironia di un gioco per bambini[1], dall’altro alla lenta scomparsa di una piccola isola all’alzarsi della marea. Questo lavoro s’interroga sulla definizione di territorio trascendendo chiaramente da una predeterminata.
L’ironia e il simbolismo, come in A dream about stopping weaves (2017), in cui l’artista stesso vestito con la classica divisa da sorvegliante cerca fino all’esaurimento delle proprie energie fisiche di fermare le onde dell’oceano dando vita ad un’azione sin da principio impossibile e dichiaratamente fallimentare, sono spesso grimaldelli privilegiati con cui Han cerca di coinvolgere lo spettatore.
Lì dove il corpo e gli oggetti della quotidianità diventano misura e parametro di indagine del rapporto con lo spazio esistente, la partecipazione diventa concetto che si presenta in una forma più sottile capace di muovere spazi di pensiero critico e di accrescimento della coscienza dello spettatore.
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Han's work wonders about the relationship between individuals and collective entities such as society and the nation by using everyday objects or his bodies as a parameter.
What relationship is established between an object or the body and a specific place? What is the concept of other? Where the differences come from? These are some of the questions that stand under a work such as the Great Ground Table (2015) where the circle of scales calibrated in a different way supports the bowls at the same height connected to each other by the classic chopsticks used to eat. In this circular system – the typical table in Asia is circular – which bypasses every hierarchy, or in which every hierarchy is subtly questioned; In which there is no beginning nor an end, it is not possible or at least it is not easy to understand who sustain who. In this dynamic, anyone can be the other.
From a formal aesthetic point of view, the work by Han refers to a minimal vocabulary aimed at reducing all the information, already present in the objects or devices used, to the minimum possible.
This is the case of Musical Chairs (2015), a black and white video installation in which the political message concerning the dispute of the island of Tshumisa between Japan and Korea, is given on one side by the irony of a game for children, on the other side to the slow disappearance of a Little Island at the rising of the tide. This work wonders about the definition of territory by clearly transcending a predetermined one.
The irony and the symbolism, as in A dream about stopping weaves (2017), in which the artist himself dressed in the classic guard's uniform tries to stop the waves of the ocean until the exhaustion of his own physical energies generating an action that manifests its impossibility from the very beginning intentionally addressing the failure as a value, are often privileged picklocks through which Han tries to involve the spectator.
In this sense, where the body and the objects of everyday life become the measure and parameter of the investigation of the relationship with the existing space, the participation becomes a concept that presents itself in a subtle form capable of moving spaces of critical thought and increase of the consciousness of the spectator (intellectual empowerment).
INFO
[1] «On a small island that only appears when the tide is low, five people play the game of musical chairs, using stones as chairs. One person loses and walks away, and then another. When one person is left, he too takes his chair stone and tosses into the water, then leaves the screen. On the reverse side of the screen, the small island eventually disappears with the rising tide. The concepts that humans create, the victories and defeat s and even the very arena of their games, are as ephemeral as dreams». From Urano Gallery press release.
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Chim↑Pom
Kitakore Building, Chim↑Pom studio |
Chim↑Pom, Black Of Death, So see you again tomorrow, too, 2016 Courtesy of the artist and MUJIN-TO Production, Tokyo, photo Kenji Morita
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Chim↑Pom, “So see you again tomorrow, too” performance event, 2016, Courtesy Chim↑Pom |
Chim↑Pom, Kitakore Building, Sukurappu ando Birudo project: Paving the Street, courtesy Chim↑Pom |
Chim↑Pom è un collettivo (Tokyo 2005) che pone al centro del proprio lavoro le più attuali questioni sociali e politiche utilizzando l’arte come possibile campo e vettore di indagine. Un campo privilegiato teso a creare domande senza necessariamente produrre risposte. Quella della partecipazione è, nel caso di Chim↑Pom, una condizione a posteriori. Il collettivo – «Six members is already a society, una che può avere effetti reali nel resto del mondo […][1]» - si muove in due diverse maniere: da una parte costruisce dispositivi in cui il pubblico rinuncia ad una posizione di fruizione passiva diventando performer (So see you again tomorrow, too?, 2016; Street, 6th Asian Art Biennale, 2017); da un’altra parte cerca di creare maggiore consapevolezza attraverso progetti che s’interrogano sull’attualità stringente come quelli il cui tema principale è quello del nucleare o del disastro di Fukushima (Real Times, 2011; KI-AI 100; Don’t follow the wind; PIKA! solo per citarne alcuni).
Ma già con Super Rat (2006), il loro primo lavoro e una sorta di autoritratto, Chim↑Pom tentava di rivolgersi metaforicamente al popolo giapponese con un invito ad aprire gli occhi rispetto al rischio degli incidenti nucleari. Come il popolo giapponese che si è rialzato in più di un’occasione nella sua storia (da Hiroshima a Fukushima), Super Rat sono infatti quei topi capaci sviluppare anticorpi e accrescere la propria intelligenza e la propria abilità di adattarsi alle condizioni presenti per sfuggire alla continua immissione di veleni che tentano di ucciderli. Dice Ryuta Ushiro leader del gruppo: «Noi ci identifichiamo con i Super Rats. Abbiamo una certa simpatia per loro e li rispettiamo come pari»[2].
Nel caso invece di quei progetti in cui lo spettatore è chiamato ad una partecipazione più diretta, l’interesse degli artisti si rivolge in maniera più stringente allo spazio pubblico. È il caso di un progetto come So see you again tomorrow, too? del 2016.
Tokyo sta attraversando una fase di grande fermento e rinnovamento in vista delle Olimpiadi del 2020 (evento che sta lentamente ma inesorabilmente facendo passare in secondo piano il disastro di Fukushima e le sue conseguenze). Un rinnovamento che prevede, anche, l’abbattimento di vecchi edifici e la costruzione di nuovi al loro posto. È il caso del Kabukicho Promotion Association Building situato nel cuore di Kabukicho, il più grande distretto a luci rosse dell’intera Asia. Un edificio divenuto nel tempo un’icona, costruito in occasione delle Olimpiadi di Tokyo del 1964. Prima che questo venisse abbattuto, Chim↑Pom, organizza una mostra con vecchi e nuovi lavori all’interno dell’edificio stesso tra cui Build-Burger (2016), un’installazione site-specific che consiste nella sovrapposizione (proprio come un hamburger) del taglio delle tre sezioni centrali dell’edificio. Parallelamente, per la durata di due settimane, l’edificio viene utilizzato anche per ospitare un programma di performace mosse dallo spirito punk di alcuni gruppi o creativi locali.
Con la demolizione dell’edificio e insieme dei lavori degli artisti, si apre la seconda fase del progetto. Chim↑Pom infatti li recupera in forma di piccoli frammenti installandoli in maniera permanente nel proprio studio Kitakore Building all’interno di una mostra DIY dal titolo Sukurappu ando Birudo project: Paving the Street (2017). I frammenti delle opere diventano in questo caso fondamenta della strada, creata in collaborazione con l’architetto Takashi Suo, che collega il loro studio con l’esterno dando così vita ad un processo di intrusione dello spazio pubblico nel privato. Uno spazio aperto e accessibile a tutti 24/24h 7 giorni alla settimana.
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Chim ↑ Pom is a collective (Tokyo 2005) which puts at the core of its work the most current social and political issues using art as a possible field and vector of the investigation. A privileged field aimed at creating questions without necessarily producing answers. That of the participation is, in the case of Chim ↑ Pom, a condition a posteriori. The collective – «Six members is already a society, one that can have real effects in the rest of the world [...]»- moves in two different ways: on the one hand creates devices where the public renounces a position of passive fruition becoming performer (So see you again tomorrow, too?, 2016; Street, 6th Asian Art Biennale, 2017); On the other hand, it seeks to create more awareness through projects that are questioning the stringent topicality as those whose main theme is that of nuclear or the disaster of Fukushima (Real Times, 2011; KI-AI 100; Don’t follow the wind; PIKA! just to name a few).
As already proved with Super Rat (2006), their first work and a sort of self-portrait, Chim ↑ Pom tried to metaphorically address to the Japanese people with an invitation to open their eyes on the risk of the nuclear accidents. As the Japanese people who has got up on more than one occasion in its history (from Hiroshima to Fukushima), Super Rat are in fact those mice able to develop antibodies and increase their intelligence and their ability to adapt to the present conditions in order to escape the continuous injection of poisons that try to kill them. Says Ryuta Ushiro leader of the group: «we identify with the Super Rats. We have some sympathy for them and we respect them as peers».
In the case of those projects where the spectator is called to a more direct participation, the interest of the artists is more stringent in the public space. Is it the case of a project like So, see you again tomorrow, too? of 2016.
Tokyo is going through a vibrant phase of renewal in view of the 2020 Olympics (an event that is keeping away the lights on the disaster of Fukushima and its consequences). A renovation that also foresees the demolition of old buildings and the construction of new ones in their place. This is the case of the Kabukicho Promotion Association Building located in the heart of Kabukicho, Asia's largest red light district. A building that has become an icon, built at the time of the Tokyo Olympics in 1964. Before this would have been destroyed, Chim ↑ Pom, organized an exhibition with old and new artworks within the building itself including Build-Burger (2016), a site-specific installation consisting of the overlap (just like a hamburger) of the cut Of the three central sections of the building. In parallel, for the duration of two weeks, the building has also been used to host a program of performances fed by the punk spirit of some of the local bands or creatives.
With the demolition of the building and the artists' artworks inside, the second phase of the project has then opened. Chim ↑ Pom recovers the artworks in the form of small fragments installing permanently in their own studio Kitakore Building within a DIY exhibition entitled Sukurappu ando Birudo project: Paving the Street (2017). The fragments of the works become in this case the foundation of the road, created in collaboration with the architect Takashi his, which connects their study with the outside thus prompting a process of intrusion of public space in the private. Space open and accessible to the public 24/24h 7 days a week.
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